lunedì 21 marzo 2011

Come fare 3 figuracce in 3 minuti di fronte al tuo amministratore delegato

Il primo giorno di primavera, oggi.
Un bel sole, temperature sui 16-17 gradi, un cielo terso...
E io in ufficio. Dopo due mesi esatti dal salto di gennaio.
Come tutti i miei primi giorni di lavoro passati, è andata bene.
Tutti insieme in un grande open space, i colleghi ti salutano con sorrisi affabili, ti danno il benvenuto, ti offrono il caffè, iniziano a spiegarti i rudimenti del lavoro ma non troppo perché se no ti incasini da subito.
Le solite cose, insomma.

Ammetto che ieri notte ho dormito malissimo e stamattina avevo il magone.
Un po' perché non avevo un "primo giorno in azienda*" dal febbraio 2008.
Un po' perché la storia di aver taciuto il mio stato civile durante i colloqui di selezione mi ha fatto sentire in colpa. Sono scema, lo so. Ma il non essere trasparente mi crea molti problemi.
Quindi, paranoica come solo io so essere, stamattina ho lasciato di nuovo la fede sul comodino. L'idea di comparire di fronte alle persone che mi avevano conosciuto durante la selezione con una fede al dito, che prima avevo deliberatamente nascosto, mi faceva sentire male.
Le ho detto (alla mia fede - perché parlo con gli oggetti ogni tanto...ehm): ti lascio a casa anche oggi, perdonami, ma ti prometto che cercherò di rimediare al più presto e di far sapere ai colleghi che esisti anche tu.
Che sono scema l'ho già detto? Ok.
Comunque i miei dilemmi inutili si sono risolti presto. Le ragazze con cui lavorerò sono sposate e già oggi ho avuto modo di accennare al fatto che anche io lo sono.
Ho un marito, sì, esiste anche lui nella mia vita!
La facilità con cui questa informazione è stata registrata dai colleghi, cioè come una cosa normale (quale effettivamente è), mi ha fatto stare meglio.
E ho potuto serenamente auto-dichiararmi scema di prima categoria nonché Miss Paranoia ad honorem.

E il tutto poteva chiudersi così, nell'idillio di un primo giorno di lavoro che volge al termine in una giornata di sole.
Ma naturalmente no. Ecché, non mettiamo nemmeno un pizzico di sfiga alla giornata? Sia mai.

Quindi la scena finale.
Domani inizierò un periodo di formazione fuori Milano. La mia tutor mi comunica che ha già prenotato un auto per me, così domani potrò raggiungere la sede esterna in totale autonomia. Si tratta di un'utilitaria, nuova, carina, ma diesel.
Ecco, io e le diesel non abbiamo un grande feeling.
Alle ore 18.20 mi trovavo nel parcheggio dell'azienda, al volante dell'auto aziendale, sotto lo sguardo simpatico dell'amministratore delegato, che si era offerto di aspettare che uscissi per aprire il cancello automatico (visto che io non avevo il telecomando per aprirlo).
Bene.
Metto in moto, frizione, prima, acceleratore, botto. La macchina si spegne.
Riprovo: metto in moto, frizione, prima, acceleratore, botto. La stronza si spegne di nuovo.
Terzo tentativo: metto in moto, frizione, prima, acceleratore al massimo, e la macchina si muove.
(Amen!)
Però c'è da fare manovra in un parcheggio assediato dalle auto e largo tre metri.
Mi sembra naturale che io come prima mossa abbia optato per la manovra più stupida di tutte.
Avanzo, mi infilo tra due macchine, ingrano la retromarcia, ma la macchina che ho dietro mi impedisce di fare manovra decentemente e girarmi verso il cancello.
Ci riprovo con una manovra più ampia, che mi va bene ma che mi costringe a sfilare esattamente di fronte all'auto dell'amministratore delegato, il quale ha ovviamente ammirato tutta la scena e se la sta ridendo alla grande. Ne esco con un gran sorriso e un gesto di OK con il pollice in su, poi corro via sulla statale a nascondere la mia imbranatezza alla guida fra le auto degli altri lavoratori di ritorno a Milano.

Welcome!

* per azienda intendo una società ampiamente strutturata, con colleghi veri, e bilanci solidi alle spalle

mercoledì 16 marzo 2011

Esperienze da un colloquio di lavoro (per n volte)

Il 21 marzo entrerò in una nuova azienda. Esattamente due mesi dopo aver lasciato la vecchia micro società che, diciamocelo, non rimpiango tanto.
Ho saltato un'altra volta, come avevo fatto a dicembre 2009, e mi è andata bene.
Per due mesi il mio lavoro è stato cercare lavoro. 
Full time, di fronte al pc e in giro per la città a parlare di me a selezionatori più o meno simpatici, professionali, curiosi, invadenti, aziendalisti, menefreghisti, inesperti e navigati.
Sono stata tante Thanit in una. 
Quella votata al marketing, quella che nella vita sogna di fare il commerciale, quella sorridente e quella iper professionale, la Thanit casual e la Thanit in tailleur.
Un po' come una Barbie versione 2.0. Con una differenza sostanziale, però.
Gran parte delle volte sono stata una Barbie senza Ken. 
Stringendo il mio cv tra le mani libere da anelli, recitavo la parte della candidata perfetta. Forte, determinata, consapevole delle dinamiche aziendali e di quello che la persona davanti a me voleva sentirsi dire. 
"Qui si tira spesso tardi, la sera" - no problem, ci sono abituata e la cosa non mi spaventa.
"Qui i livelli di stress possono essere molto alti" - che problema c'è, io so gestire alla perfezione lo stress.
"Qui cerchiamo una persona che passi molto tempo al telefono" - io adooooro stare al telefono.
Tutte cazzate. 
Ma la cosa più difficile è stata gestire l'interrogatorio sulla mia situazione personale. 
Cercare di parare i colpi provenienti da affabili selezionatori che, a fine colloquio e con un sorriso da "dai, dopo un'ora di chiacchiere sul cv direi che possiamo considerarci quasi amici", accendevano la mitragliatrice:

- con chi vivi?
- sei sposata?
- e da quanto tempo?
- e cosa fa tuo marito?
- come ti vedi nella tua vita famigliare da qui a 5 anni?
- qual è il tuo più grande sogno nel cassetto?
- qual è l'esperienza personale che ancora non hai fatto e che vorresti realizzare?
- prevedete di avere dei figli a breve quindi?
- hai nostalgia della Sardegna?
- torni spesso in Sardegna?

Inizialmente rispondevo ingenuamente, fiduciosa nel fatto che un bel colloquio non possa essere inficiato dalle proprie scelte personali.
Naturalmente non era così. 
La parola SPOSATA che il selezionatore vergava in lettere capitali sulla testata del mio cv, mi ha fatto venire il dubbio.
Fammi un po' provare ad andare ai colloqui senza fede...
E infatti, a parte qualche irriducibile, le domande personali si sono diradate. E anche quando ci sono state, ho cercato di schivarle. Un altro po', e sarei andata al prossimo colloquio con un certificato di sterilità in mano.
Sono arrivata al punto di avere paura di dire chi sono, che ho 28 anni, voglia di lavorare, ma sono già sposata con un mio coetaneo e conterraneo (a quanto pare, anche questi ultimi due, sono dei punti a sfavore...).

Lunedì inizierò a lavorare in una nuova azienda, che mi ha dato l'impressione di essere seria e fortemente interessata a investire su di me. 
Me l'hanno dimostrato con una inaspettata lettera di impegno.

Però non sanno una cosa. Che io normalmente porto una fede al dito. Non lo sanno perché non l'ho mai indossata durante gli incontri di selezione. E non lo sanno perché nella scheda informativa che ho compilato ho lasciato vuoto il campo "coniuge". Per loro non esiste un coniuge, un convivente, nessuno. E' vero che non me l'hanno nemmeno mai chiesto, e non sono sembrati per nulla interessati alla mia vita privata. 

Però, quanto le mie omissioni hanno influito in questo mio successo lavorativo?
E quanto mi sento in colpa, io, per aver fatto questa scelta, e aver cancellato dalla sezione "famiglia" della mia scheda informativa la persona che ho scelto di sposare?

Sono stata condizionata dalle pressioni dei colloqui precedenti e dal terrore di lasciarmi sfuggire un'occasione di lavoro per il solo fatto di avere una fede al dito. 
Ma quanto è sbagliato tutto questo?

martedì 23 novembre 2010

L'attesa

Entrare in farmacia e chiedere "un test di gravidanza, per favore" è stato imbarazzante, come se mi sentissi ancora una diciassettenne sprovveduta agli occhi del vecchio farmacista. Poi lui mi ha chiamato signora, e mi sono ricordata della fede al dito. Che stupida, eh? Come se fosse una fede a renderci più o meno sprovveduti.

Ho passato la giornata in ufficio con il test dentro la borsa, aspettando con ansia l'ora di rientrare a casa per aspettare il neo marito e vivere insieme questo momento.

Io, nel panico tutto il giorno.
Lui, se la ridacchiava. Come se ironizzasse sulla mia paura.

Finalmente prima di cena ci ritroviamo in bagno, con un pezzo di plastica fra le mani che ha un riquadro bianco che dovrà colorarsi.

Due stanghette, negativo.
Tre stanghette, positivo.

Cellulare in modalità cronometro. "Attendere almeno 5 minuti", dice il foglietto delle istruzioni.
Dopo un minuto e mezzo, due stanghette sono già comparse, nitide nel loro rosa su sfondo bianco.
Rimane l'ultima, quella che ci cambierà la vita.
Sono stati due minuti e mezzo lunghissimi, durante i quali l'ansia ha giocato brutti scherzi facendo comparire ai miei occhi, più volte, una stanghetta non veritiera...

L'esito è rimasto a due stanghette.
Negativo.

Butto via il test, torno in cucina. Lui è già ai fornelli.
Mi guarda e ha quegli occhi grandi e neri velati di delusione.
"Io mi ero illuso", mi dice.

Ci abbracciamo e non so se essere triste o contenta.
No, non era decisamente il momento di vedere tre stanghette.
Sarei entrata nel panico più totale.
Però, in questa giornata di ansia e attesa, avevo già iniziato a valutare i pro di una nuova vita a tre.

sabato 20 novembre 2010

Voce del verbo muffinare

Nei pomeriggi di sabato, in questa stagione, mia mamma faceva spesso i dolci. Torte, biscotti, non ricordo con precisione un dolce in particolare. Ma un dettaglio sì: il cucchiaio di legno che usava per mescolare l'impasto. Uova zucchero farina. E un retrogusto di legno profumato. Una sensazione orgasmica per la papille gustative. Uno dei sapori della mia infanzia. Mi piace molto preparare dolci il sabato pomeriggio.
Da sola in cucina, con un pò di musica e l'acquolina in bocca. Sarà un modo per ricreare un pezzetto di infanzia.

venerdì 19 novembre 2010

Cose che si possono fare quando il neo marito non c'è

- guardare i film in lingua originale
- guardare le puntate di Grey's Anatomy a oltranza
- mangiare sushi seduta sul letto guardando le due cose di cui sopra
- lavarsi i denti senza che ci sia lui di fronte allo specchio
- farsi una doccia calda senza aver paura che finisca da un momento all'altro

...

ok queste sono solo scuse
ho bisogno del neomarito in casa e non vedo l'ora che torni!

martedì 16 novembre 2010

Buongiorno Milano!

Ci siamo. Il momento che tutti i milanesi d'adozione aspettavano con ansia. Dopo il traumatico ritorno a Milano post vacanze estive, dopo la fatidica data dell'accensione del riscaldamento centralizzato...è arrivato anche lui: il momento in cui Milano non si vede più.

E' un aspetto topico della vita milanese che crea non pochi sconforti ai poveri isolani ed immigrati dal sud d'Italia e del mondo come me. Ti svegli alle 7 solo perché la sveglia ti fracassa i timpani, butti un occhio alla finestra ma pensi che il buio sia dovuto alla tapparella abbassata, arrivi in cucina e scosti la tenda. Ed è tutto sparito. Per un attimo cerchi di credere che sei su un volo trans-mediterraneo che ti sta riportando dritta dritta in Sardegna. In realtà è solo nebbia o chi per lei.

Questa scena si ripeterà, da ora in poi, per i prossimi 3 mesi - se va bene - ed è inutile ripetere gli stessi gesti ogni giorno. Non cambierà niente, e la tizia che presenta Buongiorno Regione su Rai3 continuerà a dire "Buongiorno Lombardia! Ecco una panoramica di Milano che si sveglia...". Il grigio. Ma forse lei è convinta che sia normale.

venerdì 12 novembre 2010

La Catarsi

Sono le 17.25 di un venerdì apparentemente qualunque.
Un "venerdì qualunque" è però un'espressione che può utilizzare solo chi non lavora in ufficio.

Per chi - come me - passa di media 9 ore per cinque giorni di fronte a uno schermo e con un telefono in mano (fa l'impiegata, ecco, termine che ormai pare un insulto visto che tutti si sono trasformati in manager di qualcosa), per tutti gli impiegati insomma, il VENERDI' si pensa in maiuscolo, è sacro, ha un effetto catartico sulle nostre povere menti attanagliate dal pensiero del cartellino da  timbrare, della email a cui rispondere, della telefonata da fare, del capo da sopportare.

E' uno di quei giorni in cui si può uscire dopo le otto giuste ore di lavoro quasi senza essere sospettato di sovversione contro l'azienda. Quasi.
E' pure quel giorno in cui tutti i più o meno frustrati impiegati milanesi possono riversarsi sul Naviglio molto più pimpanti rispetto agli altri giorni della settimana, perché hanno trovato pure il tempo di tornare a casa a cambiarsi invece che fare aperitivo in giacca e cravatta o tailleur d'ordinanza.

Venerdì...una liberazione per tutti!